PRIMO TOMO

20th September / 5th November 2022
— Francesco Pantaleone Arte Contemporanea— Palermo

Stefania Galegati 
a cura di Valentina Greco

SG_Mi è sempre capitato che fosse la curatrice ad intervistare l'artista. Però questa volta desidero ribaltare il punto di vista:
Quando mi viene chiesto: dove è iniziato il progetto dell'isola? racconto sempre che è iniziato da te, quel giorno in cui bevendo una birra al Caffè Internazionale mi hai raccontato che l'avresti voluta occupare...
Per me la bellezza di quel pensiero fu un fulmine a ciel sereno e da lì non ti ho più lasciata in pace.
Quando è iniziato invece per te il progetto di Isola delle Femmine?

VG_Sì, Stefania, è stata un fulmine, un’intuizione fantastica, anche per me, forse l’urgenza di raccontarti la possibilità di avere un’isola tutta per noi è lo scarto che si fa quando si intuisce una parentela che ci stava per travolgere.
La piccola isola vicino alla costa di Palermo ha fatto parte del mio paesaggio da sempre, è stato sempre un avamposto della partenza dalla città e l’avamposto del ritorno. Una piccola isola con una piccola torre diroccata. Un’isola su cui fantasticare. Una storia semplice. Esiste una vasta letteratura che racconta di isole esistenti o artificiali, scelte o costruite, per essere luoghi indipendenti abitati da comunità utopiche isolane, come L’Isola di Minerva o L’isola delle Rose. In questa storia l’isola esiste già, fa parte del nostro immaginario, si trova in provincia di Palermo a 300 metri dalla costa, è una proprietà privata, è all’interno di una riserva naturale, secondo i suoi livelli di tutela dovrebbe essere libera da ogni forma di speculazione e ha un nome impertinente ed evocativo: Isola delle Femmine.

L’intuizione di occuparla con sole donne è stata immediata ma l’azione prende potenza quando scopriamo che è in vendita, un cambio di rotta è opportuno: comprarla tutte le donne possibili. Questa storia è un nuovo gioco da sperimentare. Gli elementi del gioco sono un’isola abitata solo da piante e animali, lontana ma non troppo da una costa e un nome di una località Isola delle Femmine. Intuito il gioco si deve immaginare come e può essere fatto solo da una intelligenza collettiva. Ho sempre immaginato il gesto dell’acquisto collettivo come un’azione di emancipazione dall’oppressione di genere attraverso l’empatia, un’emancipazione che è in relazione a cosa e come si sceglie e che non prende origine dalla subordinazione. Isola delle Femmine, immaginata come un bene collettivo femminile e indiviso può essere un luogo fresco e scevro da sovrastrutture produttive ma con un potente spinta immaginifica.

La raccolta fondi per l’acquisto avverrà attraverso l’associazione Femminote ogni donna potrà acquistarne solo una quota e la proprietà sarà collettiva e indivisa; per rendere più semplice la raccolta che ha vocazione internazionale ci sarà un aggiornamento costante sul sito.

SG_In questa mostra concluderò il primo tomo del Secondo Sesso di Simone de Beauvoir che scrivo in ogni lavoro pittorico sull'Isola. Ho iniziato quattro anni fa e mi sembra che questo lavoro di interiorizzazione tramite una pratica di lettura/scrittura/pittura accompagni dolcemente e intimamente il nostro progetto collettivo di acquisto dell'Isola.

Per me il progetto di acquisto è come un piccolo tesoro che va tenuto in vita con un ritmo umano tutto suo e nostro. Ecco mi piacerebbe proprio partire da qui, dalla lentezza come processo creativo che gioca con la vita e con il rischio, ma anche con la sedimentazione e i ritmi delle piante e della terra. Tu cosa ne pensi?

VG_La lentezza di un processo creativo è fondante, per un pensiero possibile su isola delle femmine, perché diviene lento distacco da qualsiasi visione utilitaristica. Questa lentezza sedimenta, come dici tu, sedimenta perché accoglie tutti i ritmi, tutti i ritmi possibili, nessun ritmo è predominante come la molteplicità della collettività che comprerà l’isola.

SG_Sento il progetto dell'isola come uno dei più potenti che io abbia mai accompagnato. Tira fuori dei macrotemi che sono quasi banali da quanto sono ovvi, ma che lo fanno viaggiare senza bisogno di sforzi. I femminismi, il territorio, i beni comuni.... Però a mano a mano che con la nostra lentezza andiamo avanti escono temi più profondi, come questo della lentezza, dell'inutilità, del fallimento della convivenza... che vanno a scavare in certi tabù e nel non detto.

Quali sono le direzioni del progetto che ti interessano di più?







VG_Un pensiero possibile su isola delle femmine è potente perché è urgente, mette in scena alcuni temi semplici ma spesso traditi: i femminismi, l’ambiente, la crisi della proprietà privata, la governance e la cura dei beni pubblici e collettivi, forse anche i beni comuni, le narrazioni e l’arte come dispositivo di finzione indispensabile per l’interpretazione del reale e del possibile. Un pensiero possibile su isola delle femmine che ne determina un suo acquisto collettivo può attivare passioni, passioni felici, che annientino le visioni del fallimento indotto dal modello evoluzionista. Il pensiero possibile su isola delle femmine è la teatralità sulla quale costruire nuove forme di stare insieme, anche se come accennavi tu, a volte insostenibili, a volte inibenti del processo ma sempre effervescenti. A volte mi sembra che sia già di tutte, perché l’isola è un’attivatrice, un sentimento di esserne già in possesso è presente nelle tue opere.

SG_E poi scordavo una cosa di cui non parliamo da un po': come se questi anni difficili per il mondo l'avessero chiuso in un cassetto: il potenziale dell'isola sull'amplificazione dell'immaginario. Le cose che in questi anni mi hanno divertito di più sono proprio queste cose: le nostre visite agli uffici della regione, le agenzie immobiliari, le leggende del pirata, le ossa trovate sull'isola, il progetto dei bungalow e tutto ciò che ci ha prodotto stupore in questi anni.

Un allargamento è venuto dalle piccole interviste fatte durante il periodo di covid alla mostra She is land, lavoro che abbiamo firmato insieme e che metterei in mostra, che ne dici?
Se continuiamo chi intervisteresti a Milano?
Infine il femminismo.

Per me tutto questo lavoro dell'isola e dei dipinti leggendo le basi del femminismo europeo nel Secondo Sesso di Simone de Beauvoir hanno segnato un punto fermo nella mia consapevolezza di essere diventata femminista e autodeterminandomi donna indipendente. D'altro canto è anche stato il punto più discusso e discutibile fra noi. Quando racconto del progetto a un pubblico che comprende ventenni mi arriva puntualmente la domanda: ma come vi ponete rispetto a chi non si sente definito in queste categorie? Tu cosa risponderesti?

VG_L’acquisto di isola delle femmine è un sofisticato gioco collettivo. Così sofisticato da, a volte, non accorgersi che sia gioco, ma viene spesso ricondotto a un gesto all’interno di un sistema binario. Risponderei, quindi, che è una buona pratica per non interrompere il femminismo, fondamentale rivoluzione culturale del ‘900. Al di là di ogni critica, che ritengo necessaria, Isola delle Femmine, immaginata come un bene collettivo femminile e indiviso può essere un luogo fresco e scevro da sovrastrutture produttive ma con una potente spinta immaginifica.

SG_E poi un'ultima domanda te la devo fare perché è una domanda bellissima che hai ricontestualizzato tu:
Cosa può un'isola?

VG_Cosa può essere un’isola? Un’isola può essere un posto in cui costruire una discoteca, un museo del mare, un’agenzia pubblicitaria, un villaggio turistico o una colonia estiva, un sentiero enogastronomico con profumi e sapori antichi.

Ma a noi interessa riflettere su: Cosa può un’isola? Un’isola di proprietà al femminile può essere una avamposto di pensiero in cui si rimettano in gioco i temi della tutela  territorio, della proprietà relazionale e generativa, del sistema patriarcale e le sue conseguenze, della gioia delle azioni non soggiogate dalla categoria dell’utile, della liberazione del tempo e della potenza della sua improduttività, di cosa sia un bene comune e di quali siano gli strumenti per gestirlo tutte le donne insieme; un’isola può generare nuovi linguaggi e può essere un luogo in cui sperimentare nuove pratiche dello stare insieme attraverso il dispositivo dell’arte in un percorso di gioia.

Un’isola può essere un frullatore di gesti poetici, di mondi reali e possibili, di vite in comune e di pensieri comuni. Un’isola è il modo in cui la abitiamo, quanto è protagonista dei nostri pensieri e delle nostre immagini, come nei tuoi lavori. Può arginare la paura della solitudine. Un’isola è felice di essere luogo della nascita di nuove parentele, di agevolare incontri inusuali, che innescano scintille per accendere modi nuovi di vedere le cose. Assembrarsi e assemblarsi, essere singolari e plurali. Avere un’isola tutta per sé, collettivamente. Ogni volta che la guardo, sfiorandola con il pensiero, le dico grazie di aiutarmi a non avere paura del fallimento del progetto moderno e di provare ad attraversare il disastro, il mondo è un disastro ma dobbiamo attraversalo per evitare che diventi il bordo dell’apocalisse.

Isola delle Femmine, immaginata come un bene collettivo femminile e indiviso può essere un luogo fresco e scevro da sovrastrutture produttive ma con un potente spinta immaginifica e rivoluzionaria, perché la compriamo noi.